sabato 1 ottobre 2011

FATTI DI SANGUE A VENEZIA (2 parte) - Una storia di amore e morte nella Venezia del '700

Il Pozzo di San Trovaso dove inizia il nostro racconto
Risalendo dalla bella zona panoramica delle Zattere dirimpetto alla Giudecca ci si imbatte nell'armoniosa e pacifica atmosfera di San Trovaso, noto, oggi, come squero sopravvissuto a quei duri eventi che "distrussero" culturalmente Venezia a partire dal '700. In quest'epoca di ultimo splendore avviene un omicidio tremendo che diverrà molto celebre. Punto d'inizio della tragica storia è il pozzo di San Trovaso, quella bella vera che si trova sul campo. 14 giugno 1779. Un lunedì della seconda metà del settecento. E' ormai iniziata la settimana, le attività lavorative riprendono dopo una giornata di riposo in cui nessuno è uscito di casa, per colpa del caldo: tuttavia si sono svolti alcuni festaggiamenti per Sant'Antonio da Padova e c'è stato un po' di trambusto. Oggi tutto torna alla normalità: non vi sono feste importanti e il lavoro può riprendere. Com'è tradizione la vera da pozzo viene aperta verso un'imprecisata ora del mattino dalla custode. Un'occhiata distratta, veloce: in fondo mai nessuno ha avvelenato il pozzo: perchè farlo oggi? La custode della chiave di quella "porticina" metallica del coperchio della vera se ne va. Tornerà fra un po' a prendere l'acqua. Arriva un po' arrancando, pian pianino, una popolana sulla mezza età, grassoccia, sposa di un artigiano e mamma di alcuni figli, alcuni già sposati. Canticchiando un motivetto popolare getta la secchia nel pozzo dopo averla legata a una catenella collegata a un bastoncino di ferro che ruota sul coperchio della vera restando attaccato a un perno che si può far girare con una manovella. La popolana inizia a girare la manovella ma pare che la secchia si sia incastrata in qualcosa: a forza di tirare il secchio torna sul parapetto del pozzo e la popolana si sbraccia all'interno della vera: nel buio non nota che del sangue cola dal secchio. Tocca il recipiente ma è troppo pesante e si sporca di un liquido denso, scuro. Porta alle luce le mani ed osserva: è sangue.Tremando come una foglia si lancia sul secchio e lo spinge dal basso verso l'alto portandolo alla luce. Rimane ammutolita per un secondo e poi lancia il recipiente sul pavimento del campo tirando un urlo orribile che la custode del pozzo che si stava incamminando per andare a casa, ode. Corre nel campo e vede un orribile spettacolo. Una schiena umana girata a pancia in giù sul ponte: un assassino, come un macellaio, ha tagliato il tronco di quel corpo mozzandogli le braccia, le gambe e la testa. La custode, con raccapriccio, tira un calcio e rivolta quel orrendo pezzo di carne e scopre che si tratta del cadavere di un uomo. La prima cosa che pensa di fare è chiedere all'ammutolita scopritrice di quel delitto il sacco che si porta dietro. La donna vi infila dentro il tronco e lo porta a Palazzo Ducale. La Quarantia Criminal riceve la custode che viene avvertita: nel Canale di Santa Chiara un gondoliere ha urtato col remo una testa maschile e l'ha raccolta, alla Corte del Basegò a Santa Margherita sono stati trovati in un pozzo gambe e piedi tagliati, nel Canale della Giudecca delle interiora umane sono state viste galleggiare. I magistrati ordinando di ricomporre quel povero corpo e di chiamare un medico per imbalsamarlo. Il corpo viene esposto nel Ponte della Paglia ma nessuno lo riconosce. Le autorità fanno ricontrollare il cadavere: sulla testa è trovato un frammento di lettera piuttosto lungo: era nascosto tra i capelli. Alcune frasi, ancora leggibili sono pubblicate, assieme a una sigla usata come firma: V. F. G. C.. Un tale Giovanni Cestonaro legge e riconosce in una gazzetta (forse la Gazzetta Veneta) la lettera e la firma che il fratello Francesco che abitava a Venezia, usava per la corrispondenza. Cestonaro spiega che suo fratello Francesco era andato in sposa alla friulana Veneranda Porta in un matrimonio d'interesse: donna Veneranda mai aveva sopportato il signor Francesco e lo tradiva per un cameriere udinese, Stefano Fantini. La Quarantia Criminal dichiara l'ordine di arresto per donna Veneranda e il signor Stefano Fantini, i quali, tradotti in carcere nelle Prigioni Nuove dopo un supplizio nella famigerata Camara del Tormento confessano il delitto, commesso perchè donna Veneranda impalmasse Fantini. Il caso è risolto: la Quarantia Criminal delibera: Veneranda Porta verrà impiccata, Stefano Fantini decapitato il 10 gennaio 1780 per l'omicidio di Francesco Cestonaro. La sentenza è eseguita fra le due colonne di San Marco e San Todaro: il corpo di Fantini è squartato e appeso ai quattro angoli di Venezia. A Venezia si diffonderà la storiella che la Vergine Maria con la sua benevola protezione ha permesso di risolvere il caso facendo rinvenire ai giudici quella lettera. Per questo il terreno su cui la casa di Veneranda Porta, rasa al suolo, sorgeva diventa una calle che è dedicata, come segno di gratitudine alla Madre Celeste.