giovedì 29 marzo 2012

VENEZIA E L'ILLUMINISMO - Uno scontro reale o apparente? (1 parte)

Si può dire che molti stati del passato abbiano basato per certi periodi di tempo la propria legislazione ed il proprio governo su correnti di pensiero e dottrine filosofiche. Tuttavia definire alcuni stati è assai difficile: per esempio certi paesi del terzo mondo di oggi, non paiono retti da alcuna opinione filosofica.
Oppure ci si trova di fronte dei "mostri di filosofia" come il Regno di Francia, che è esistito per così tanti secoli da abbracciare molte correnti filosofiche.
E Venezia? E' ancora più difficile da definire: innanzitutto la Serenissima è esistita per 1100 anni ed inoltre non si è mai esposta troppo. Limitiamoci ai suoi ultimi novantasette anni di vita, nel secolo di Goldoni e Casanova: in questo periodo turbolento, difficile per l'Europa, nasce in Inghilterra con John Locke - filosofo eminentissimo, fondatore della corrente dell'Empirismo che mirava a definire l'intelligenza dell'uomo come la capacità di affrontare le situazioni difficili in base alla propria esperienza - l'Illuminimso il quale troverà la sua perfezione e la sua fine con Immanuel Kant, principale autore del Razionalismo, ulteriore evoluzione del pensiero libero diffuso nel '700.
Il patrizio veneziano Andrea Tron
Nella mente dei venetisti l'idea dell'Illuminismo ha sempre portato ricordi spiacevoli e tristi: è un luogo comune abbastanza errato, infatti il Direttorio, che nel 1797 mandò Napoleone a conquistare Venezia, non si poteva certo definire una tollerante assemblea illuminista con odiosissimi personaggi quali Reubell, un'opportunista incapace, Barras, un militaresco nobilotto probabilmente rivoluzionario per poter avere un posto importante nella società, de la Revelliere, interessati al guadagno più che ai diritti dell'uomo, de Barthelemy, un altro approfittatore e Carnot un militarista convinto, il quale sosteneva che "ogni cittadino nasce soldato" più che libero.
Insomma, il Direttorio proprio illuminista non lo si può definire: si tratta di un illuminismo travisato, un opportunismo malato ed indegno: una classe politica, in poche parole indecente e formata da crapuloni incompetenti ed ignoranti.
Venezia poi viene conquistata da Napoleone un uomo che nel suo impero dimostrerà il massimo anti - Illuminismo possibile, piegando la chiesa alla consacrazione di un culto della sua persona, facendo raccomandazioni e improntando su una borghese ingiustizia tutta la sua legislazione.
Eliminati gli pseudo - illuministi possiamo considerare con più facilità la posizione della Serenissima: ed ecco un vero illuminista, convinto sostenitore delle idee di libertà ed uguaglianza: Andrea Tron.
Dalle sue memorie risulta che i nobili veneti non erano contrari ma disinteressati alle idee illuministe.
E' una considerazione molto importante e che forse rende più vicina a noi la Repubblica di Venezia: come spesso anche oggi succede noi non siamo contrari al cambiamento ma semplicemente non lo consideriamo. Ancora una volta, forse, si tratta di un'esagerazione: certamente qualche nobile avrà detto peste e corna delle idee illuministe ma al giorno d'oggi in fondo le idee su cui gli stati moderni si basano non sono forse libertè, egalitè e fraternitè?

EGNAZIO - Un umanista veneto tra XV e XVI secolo

L'Editto di Egnazio al Museo Correr
"La città dei Veneti per volere della Divina Provvidenza fondata sulle acque, circondata dalle acque è protetta da acque in luogo di mura: chiunque pertanto oserà arrecare danno in qualsiasi modo alle acque pubbliche sia condannato come nemico della Patria e sia punito non meno gravemente di colui che abbia violato le sante mura della Patria. Il diritto di questo Editto sia immutabile e perpetuo."
Così scrive Egnazio, umanista veneziano tra '400 e '500: la lapide, nota come Editto, è oggi conservata al Museo Correr in Piazza San Marco: ma chi è l'autore di questo eloquente scritto in lingua latina?
Si tratta di Giambattista Cipelli: nasce a Venezia nel 1498: studia in gioventù le lingue antiche ed inizia ad insegnare come precettore.
Bisogna tener conto che all'epoca dell'Umanesimo insegnanti come Cipelli erano molto apprezzati e che, inevitabilmente, fra gli studiosi nascevano contese che sfociavano spesso in odi e rivalità: lo stesso Egnazio si inimica infatti Marcantonio Sabellico che scriveva di retorica e di Venezia, sempre rigorosamente in Latino.
Le polemiche di Cipelli e Sabellico continuano a lungo: la morte del rivale di Egnazio nel 1506 apre le porte del mondo accademico al latinista: dieci anni dopo pubblica De Caesaribus, rifacimento delle Vite dei Dodici Cesari di Svetonio: tale opera è subito considerata un capolavoro della storiografia in lingua latina.
Egnazio detta la lapide con l'editto sopra riportato: nel 1520 diventa ordinario di retorica all'Università di Padova, incarico che mantiene fino al 1549: è il periodo della collaborazione con Manuzio per il quale seleziona e cura le edizioni classiche, traducendole, commentandole e aiutando il famoso editore nella sua attività.
Dopo essersi ritirato dall'incarico di insegnante per motivi di vecchiaia e dopo aver scritto molte lettere ed orazioni, opere di storia e poesie Egnazio muore nella sua Venezia, che aveva tanto amato nel 1553.

sabato 3 marzo 2012

COME GOLDONI - La storia di Giacinto Gallina

Nell'800 Venezia, o meglio la sua Repubblica, era morta. Lo spirito goldoniano in cui si rappresentava la realtà delle cose, però era ancora vivo. Il suo insegnamento fu compreso e rimodernato nel XIX secolo da Giacinto Gallina, nato nel 1852 a Venezia di sabato, il 31 luglio nella contrada della Bragora.
G. Gallina
Soffrì la separazione dei genitori ed andò a vivere con il padre, medico, che si occupava tra l'altro di prestare cure mediche ad attori, uomini e donne che lavoravano nei teatri veneziani. Amava il violoncello e dopo gli studi ai Licei Marco Polo e Foscarini (che si conclusero con la sua bocciatura) iniziò a suonare per l'orchestra del Malibran, insegnando anche pianoforte.
Tra il 1870 e il 1871 propose al teatro di San Luca (oggi Goldoni) alcune commedie in lingue italiana come "Lo zio ipocrita" riscuotendo molte critiche: solo nel 1872 decise di passare al dialetto veneziano. Fu un trionfo: il 12 gennaio le sue "Barufe in famegia" ottengono un gran successo in tutta Venezia: alcuni lo acclamano come il novello Goldoni. Si legò sentimentalmente a Paolina Campi, che fu sua convivente: scrisse altre simpatiche opere: "El moroso de la nona", "Zente refada", "Tuti in campagna", "Serenissima" e "Fora del mondo".
A seguito di una lunga malattia morì a quarantacinque anni nella sua casa di Rialto, dopo essersi sposato civilmente con la Campi, grande a un matrimonio civile celebrato dal suo amico Riccardo Selvatico, sindaco di Venezia, commediografo e poeta.
Nonostante il bel tentativo di riportare in scena il teatro goldoniano l'opera di Giacinto Gallina è oggi ritenuta dagli studiosi un intervento di buona qualità ma comunque inferiore alla "purezza" della letteratura dialettale del suo maestro ispiratore, insuperabile narratore di storie ed intrighi, riformatore del teatro e creatore di una nuova arte: Goldoni.