sabato 15 settembre 2012

Il blog chiude

Dopo aver letto gli attacchi subiti dal blog da parte del forum Cattolici Romani (non intendo invece criticare i sostenitori del Palais Lumiere, le cui idee non condivido ma che almeno hanno avuto il coraggio di esporsi) ho scelto di concludere l'avventura iniziata. Non ho scritto per troppo tempo e mi ritengo offeso da chi non ha neppure avuto il coraggio di esporre personalmente le proprie critiche. Per quello che mi riguarda il viaggio di Venezia giorno per giorno è finito e passa il testimone ad altre attività, quale il blog dedicato all'Italia che è già operativo.
Se i valori di Santa Madre Chiesa inducono ad umiliare chi la pensi diversamente e ad essere vigliacchi con gli oppositori chiedo scusa al forum cattolico. Ma fino a quando non troverò una riga di catechismo che dica ciò le mie scuse non le porrò mai. Non sono un giornalista, ne un ecclesiasta. Ho cercato di fare del mio meglio e di scrivere, nel caso del Patriarca di Venezia, pensieri e parole raccolte tra i sacerdoti e i religiosi. Cattolici Romani contesta chi non è d'accordo e ha desiderato un patriarca veneto ma poi non sa che loquor è un verbo deponente, cosa che anche la cara buon anima della mia compagna di classe che di continuo era punita a sfilze di 4 e 3 in latino sapeva benissimo: Amate la messa tridentina ed il Concilio di Trento, invocate una nuova Inquisizione ed un nuovo Sant'Uffizio. Se questa è la Chiesa preferisco non averci più a che fare, non trattarne più. Ma Venezia è la città cristiana per eccellenza, tacere di ciò significherebbe non parlarne adeguatamente. Per quello che mi riguarda il forum ha dimostrato la propria pochezza in quelle righe, la miseria morale tipica di certi Cattolici.
Come fece Salgari vi saluto spezzando la penna, detrattori ignobili, nemici di un progresso morale ed ideologico.

Rosso Veneziano

giovedì 30 agosto 2012

LA TORRE DEGLI INCUBI - Il Palais Lumiere è un rischio per Venezia

Un gran polverone in questi ultimi tempi per la Torre Cardin (il Palais Lumiere) a Mestre, proposto dall'omonimo e celebre stilista francese. Come scrive Italia Nostra la costruzione della Torre potrebbe portare alla cancellazione di Venezia dall'albo dei siti UNESCO! Pericolosissimo sogno di uno stilista che ne sa più di moda che di arte, più di stoffe che di urbanistica, la torre sarebbe addirittura più alta del Campanile di San Marco, sfregio massimo, questo alla Serenissima e all'arte tutta. Sarebbe la più alta costruzione mai realizzata in Italia ma ancor di più quest'opera è un insulto ai Veneziani, già addolorati dal Ponte di Calatrava! Si faccia un referendum, quindi, per dimostrare la serietà del Comune di Venezia! L'esclusione della città di San Marco dai Patrimoni UNESCO significherebbe la più grave delle umiliazioni possibili, poiché l'arte è l'unica testimone del secolare splendore della Repubblica Veneta. Venezia, che è artisticamente la città più completa d'Italia, d'Europa e forse anche del mondo e che è nobilissima e singolarissima, come la descrisse Sansovino, rischia troppo. Non è rispettoso nei confronti dell'Italia che un nuovo invasore quale Cardin detti ancora legge su una terra già troppo martoriata. L'Europa è nota nel mondo per la sua bellezza artistica in primo luogo, paesaggistica in secondo. Con un solo colpo si farebbe svanire un miracolo benedetto creato dalla pazienza di un popolo nato dalla disperazione della fuga dai Barbari e che rischia ancora di essere sopraffatto dalla nuova distruzione culturale di Barbari ignoranti del 2000. Pensateci. Come Vivaldi anche noi vogliamo una Venezia trionfante come Giuditta "devicta Holofernis barbariae" (visto che il nuovo Oloferne altri non è che il Comune, le Istituzioni e Cardin stesso).

mercoledì 29 agosto 2012

LA CARITA' A VENEZIA - Il beato Acotanto

Se andate nella chiesa di San Trovaso potrete trovare la sepoltura del beato Pietro Acotanto. Questo grande uomo, vissuto nel Medioevo, fu un grande benefattore veneziano, dedito alle opere caritatevoli. Nasce nel 1108 in contrada di San Basilio da nobile e ricca famiglia. Gli antenati avevano già fondato la chiesa parrocchiale di Dorsoduro. Figlio di Filippo Acotanto e di madonna Agnese, perde a sedici anni il padre andato a combattere con i Crociati e morto in Terra Santa. Venendo a sapere della morte del padre mentre si trova tra i Benedettini di San Giorgio Maggiore per compiere gli studi nell'educandato (all'epoca i rampolli e le fanciulle delle nobili casate erano cresciuti dai monaci e dalle monache) sotto la guida dell'abate Tribuno, rimane amareggiato. Obbligato da madonna Agnese a sposare una nobildonna di Creta, Maria, esce dal monastero accettando il matrimonio impostogli. Maria e Pietro ospitano i poveri nella propria casa. Lui esce ogni notte con una barca, naviga i rii e i canali e si ferma per dare coperte e legna da ardere ai senza tetto che rischiano di soccombere nei gelidi inverni ma anche per donare cibo e denaro. Si fa povero per aiutare i poveri poi parte anche lui per la Terra Santa per andare a pregare dopo la morte di madonna Agnese. Tornato, dopo tre anni, trovò morta anche la moglie. Rattristato, si ritirò a vivere a San Giorgio Maggiore, vivendo in un capanno che si costruisce accanto al monastero: muore l'8 agosto 1187. Questa la versione ricostruita da Silvio Tramontin che unisce la tradizione veneziana a un manoscritto benedettino. Sepolto all'interno della chiesa di San Basilio, nel 1250 fu disseppellito e venne scoperto che indossava il cilicio: tale scoperta ottenne amplissima eco che favorì il culto del beato, ufficialmente approvato dai decreti di Clemente XIII, papa Rezzonico in data 8 agosto 1759 e 13 novembre 1760: fu Flaminio Corner a redigere i testi della sua messa propria. Nel 1810 le reliquie furono traslate a San Sebastiano e nel 1823 a San Trovaso, dove si trovano ancora oggi.

martedì 28 agosto 2012

UN NUOVO PROGETTO - Ritorna Venezia giorno per giorno con tante novità

Era da un po' che non scrivevo. Maggio, giugno, luglio, agosto. Quattro mesi. Ci eravamo lasciati parlando di Illuminismo. Dopo un po' di confusione, vacanze, viaggi e progetti vari mi sono ricordato di questo blog, da troppo assente. Così mi sono detto: torniamo a scrivere... Volevo annunciarvi che, oltre a Venezia giorno per giorno fra pochi giorni debutterà un nuovo blog, per raccontare non solo Venezia ma, in un progetto più ambizioso, l'Italia, sotto la direzione del sottoscritto, con il nome di TEATRO DI TALIA prendendo ispirazione dalla musa Talia, dea del Teatro. L'Italia cos'è se non un fastoso palcoscenico, carico di orpelli di tutte le epoche, uno spettacolo secolare, un'opera lirica dei millenni? Pur guardando nello specifico a Venezia   - Venezia giorno per giorno riprende regolarmente il suo corso - curerò anche il Teatro di Talia. A presto!

Rosso Veneziano

giovedì 29 marzo 2012

VENEZIA E L'ILLUMINISMO - Uno scontro reale o apparente? (1 parte)

Si può dire che molti stati del passato abbiano basato per certi periodi di tempo la propria legislazione ed il proprio governo su correnti di pensiero e dottrine filosofiche. Tuttavia definire alcuni stati è assai difficile: per esempio certi paesi del terzo mondo di oggi, non paiono retti da alcuna opinione filosofica.
Oppure ci si trova di fronte dei "mostri di filosofia" come il Regno di Francia, che è esistito per così tanti secoli da abbracciare molte correnti filosofiche.
E Venezia? E' ancora più difficile da definire: innanzitutto la Serenissima è esistita per 1100 anni ed inoltre non si è mai esposta troppo. Limitiamoci ai suoi ultimi novantasette anni di vita, nel secolo di Goldoni e Casanova: in questo periodo turbolento, difficile per l'Europa, nasce in Inghilterra con John Locke - filosofo eminentissimo, fondatore della corrente dell'Empirismo che mirava a definire l'intelligenza dell'uomo come la capacità di affrontare le situazioni difficili in base alla propria esperienza - l'Illuminimso il quale troverà la sua perfezione e la sua fine con Immanuel Kant, principale autore del Razionalismo, ulteriore evoluzione del pensiero libero diffuso nel '700.
Il patrizio veneziano Andrea Tron
Nella mente dei venetisti l'idea dell'Illuminismo ha sempre portato ricordi spiacevoli e tristi: è un luogo comune abbastanza errato, infatti il Direttorio, che nel 1797 mandò Napoleone a conquistare Venezia, non si poteva certo definire una tollerante assemblea illuminista con odiosissimi personaggi quali Reubell, un'opportunista incapace, Barras, un militaresco nobilotto probabilmente rivoluzionario per poter avere un posto importante nella società, de la Revelliere, interessati al guadagno più che ai diritti dell'uomo, de Barthelemy, un altro approfittatore e Carnot un militarista convinto, il quale sosteneva che "ogni cittadino nasce soldato" più che libero.
Insomma, il Direttorio proprio illuminista non lo si può definire: si tratta di un illuminismo travisato, un opportunismo malato ed indegno: una classe politica, in poche parole indecente e formata da crapuloni incompetenti ed ignoranti.
Venezia poi viene conquistata da Napoleone un uomo che nel suo impero dimostrerà il massimo anti - Illuminismo possibile, piegando la chiesa alla consacrazione di un culto della sua persona, facendo raccomandazioni e improntando su una borghese ingiustizia tutta la sua legislazione.
Eliminati gli pseudo - illuministi possiamo considerare con più facilità la posizione della Serenissima: ed ecco un vero illuminista, convinto sostenitore delle idee di libertà ed uguaglianza: Andrea Tron.
Dalle sue memorie risulta che i nobili veneti non erano contrari ma disinteressati alle idee illuministe.
E' una considerazione molto importante e che forse rende più vicina a noi la Repubblica di Venezia: come spesso anche oggi succede noi non siamo contrari al cambiamento ma semplicemente non lo consideriamo. Ancora una volta, forse, si tratta di un'esagerazione: certamente qualche nobile avrà detto peste e corna delle idee illuministe ma al giorno d'oggi in fondo le idee su cui gli stati moderni si basano non sono forse libertè, egalitè e fraternitè?

EGNAZIO - Un umanista veneto tra XV e XVI secolo

L'Editto di Egnazio al Museo Correr
"La città dei Veneti per volere della Divina Provvidenza fondata sulle acque, circondata dalle acque è protetta da acque in luogo di mura: chiunque pertanto oserà arrecare danno in qualsiasi modo alle acque pubbliche sia condannato come nemico della Patria e sia punito non meno gravemente di colui che abbia violato le sante mura della Patria. Il diritto di questo Editto sia immutabile e perpetuo."
Così scrive Egnazio, umanista veneziano tra '400 e '500: la lapide, nota come Editto, è oggi conservata al Museo Correr in Piazza San Marco: ma chi è l'autore di questo eloquente scritto in lingua latina?
Si tratta di Giambattista Cipelli: nasce a Venezia nel 1498: studia in gioventù le lingue antiche ed inizia ad insegnare come precettore.
Bisogna tener conto che all'epoca dell'Umanesimo insegnanti come Cipelli erano molto apprezzati e che, inevitabilmente, fra gli studiosi nascevano contese che sfociavano spesso in odi e rivalità: lo stesso Egnazio si inimica infatti Marcantonio Sabellico che scriveva di retorica e di Venezia, sempre rigorosamente in Latino.
Le polemiche di Cipelli e Sabellico continuano a lungo: la morte del rivale di Egnazio nel 1506 apre le porte del mondo accademico al latinista: dieci anni dopo pubblica De Caesaribus, rifacimento delle Vite dei Dodici Cesari di Svetonio: tale opera è subito considerata un capolavoro della storiografia in lingua latina.
Egnazio detta la lapide con l'editto sopra riportato: nel 1520 diventa ordinario di retorica all'Università di Padova, incarico che mantiene fino al 1549: è il periodo della collaborazione con Manuzio per il quale seleziona e cura le edizioni classiche, traducendole, commentandole e aiutando il famoso editore nella sua attività.
Dopo essersi ritirato dall'incarico di insegnante per motivi di vecchiaia e dopo aver scritto molte lettere ed orazioni, opere di storia e poesie Egnazio muore nella sua Venezia, che aveva tanto amato nel 1553.

sabato 3 marzo 2012

COME GOLDONI - La storia di Giacinto Gallina

Nell'800 Venezia, o meglio la sua Repubblica, era morta. Lo spirito goldoniano in cui si rappresentava la realtà delle cose, però era ancora vivo. Il suo insegnamento fu compreso e rimodernato nel XIX secolo da Giacinto Gallina, nato nel 1852 a Venezia di sabato, il 31 luglio nella contrada della Bragora.
G. Gallina
Soffrì la separazione dei genitori ed andò a vivere con il padre, medico, che si occupava tra l'altro di prestare cure mediche ad attori, uomini e donne che lavoravano nei teatri veneziani. Amava il violoncello e dopo gli studi ai Licei Marco Polo e Foscarini (che si conclusero con la sua bocciatura) iniziò a suonare per l'orchestra del Malibran, insegnando anche pianoforte.
Tra il 1870 e il 1871 propose al teatro di San Luca (oggi Goldoni) alcune commedie in lingue italiana come "Lo zio ipocrita" riscuotendo molte critiche: solo nel 1872 decise di passare al dialetto veneziano. Fu un trionfo: il 12 gennaio le sue "Barufe in famegia" ottengono un gran successo in tutta Venezia: alcuni lo acclamano come il novello Goldoni. Si legò sentimentalmente a Paolina Campi, che fu sua convivente: scrisse altre simpatiche opere: "El moroso de la nona", "Zente refada", "Tuti in campagna", "Serenissima" e "Fora del mondo".
A seguito di una lunga malattia morì a quarantacinque anni nella sua casa di Rialto, dopo essersi sposato civilmente con la Campi, grande a un matrimonio civile celebrato dal suo amico Riccardo Selvatico, sindaco di Venezia, commediografo e poeta.
Nonostante il bel tentativo di riportare in scena il teatro goldoniano l'opera di Giacinto Gallina è oggi ritenuta dagli studiosi un intervento di buona qualità ma comunque inferiore alla "purezza" della letteratura dialettale del suo maestro ispiratore, insuperabile narratore di storie ed intrighi, riformatore del teatro e creatore di una nuova arte: Goldoni.

lunedì 27 febbraio 2012

LA PATRIA DELLO ZUCCHERO - Venezia città dei dolci

Raffinatori di zucchero in una manifattura veneziana



















In quel latino un po' goffo diffusosi nel medioevo si chiamavano "sacchettis venetis" alcuni sacchettini in tela in cui si trovavano grani di zucchero spesso aromatizzati. La città di Venezia ne produceva in gran quantità e andava a prelevare lo zucchero in Palestina, dove lo aveva conosciuto con le Crociate: ad introdurlo nel Mediterraneo furono gli Arabi.
L'arrivo dello zucchero in Europa sorprese i mercanti: il miele, infatti, era fino al Medioevo usato come unico dolcificante: ma quando ci si accorse che lo zucchero lo sostituiva ed era anzi migliore e più gustoso da ogni parte d'Europa ricchi e notabili richiesero sacchi di zucchero.
Si diceva che i "sacchettis venetis" valessero così tanto che venivano lasciati in eredità ai discendenti oppure dati in dote alle spose.
Nei secoli seguenti la Repubblica fece coltivare la barbabietola anche a Creta (chiamata Candia): per tale motivo nacque lo zucchero "candioto" con il quale venivano caramellati frutti e dolci chiamati "candii": ecco l'etimologia del termine frutta candita!
I raffinatori di zucchero erano estremamente abili nel creare forme di zucchero, sciogliendolo e raddensandolo lasciandolo raffreddare in stampi appositi.
Era tradizione che i Procuratori di San Marco ad ogni membro del Maggior Consiglio, in occasione dell'insediamento di tale assemblea ogni 4 dicembre, giorno di Santa Barbara, donassero quattro pani di zucchero ad ogni patrizio veneziano entrato nell'organo di stato.
La diffusione dello zucchero, inoltre, causò la nascita a Venezia di una produzione dolciaria senza precedenti in Europa: fu infatti la prima città dell'Occidente a sviuppare una tradizione culinaria in cui si usava lo zucchero: i dolci veneziani contemporanei sono ancor oggi una gustosa testimonianza storica di questo antico primato della Serenissima.

ALVISA ZAMBELLI - Tra sacro e profano

Una docente dell'Università di Padova, ordinaria alla Facoltà di Lettere e Filosofia, la Professoressa Adelisa Malena ha evidenziato in una propria ricerca l'interessante figura di Alvisa Zambelli, ebrea convertitasi al Cristianesimo. Dal suo studio è tratto questo piccolo riassunto: per maggiori approfondimenti Studio sulla figura di Alvisa Zambelli della Professoressa A. Malena.
Una figura difficile e complessa: ogni documentazione su di lei ci proviene da una cronaca del suo confessore, di cui tratteremo più avanti.
1697: Alvisa nasce a Verona col nome di Lea Gaon dal rabbino Moisè e da sua moglie Rachele.
Ghetto di Venezia
Ancora bambina Lea si trasferisce a Spalato, in Dalmazia, sede di un contado e di una castellania veneziana. Fin da piccola pare non rispettare le tradizioni ebraiche ed anzi non sopportarle. Il padre ne ha dispiacere ma pare ci sia una ragione: ci sono apparizioni e manifestazioni del soprannaturale: Lea/Alvisa è turbata dalla visione del Diavolo ma è confortata dalla Vergine Maria col Bambino e dagli Angeli. Nel 1710 si sposa con Abramo Fiamengo, un ebreo del Ghetto di Venezia in cui va vivere: sempre in ghetto partorisce quattro anni dopo il figlio Mardocheo Fiamengo. Abramo però maltratta la moglie, la picchia e le ruba denaro e beni di valore: all'improvviso sparisce e va a Zante, dove viene battezzato e si fa Cristiano col nome di Lorenzo Zambelli. Lea inizia a viaggiare: Castelfranco, Trento, Verona. Nel dicembre 1718 fa richiesta di entrare nella Casa dei Catecumeni di Venezia, vicina alla chiesa della Salute: il Priore viene a prenderla: ma la scelta della conversione è tormentata anche dalle apparizioni diaboliche: pur di non seguire quell'uomo venuta a portarla via dalla vecchia vita si lancia da una finestra in un rio e sta per affogare ma due barcaioli la salvano: solo in quel momento vede che un angelo, pregando per lei il Signore l'ha salvata.
Il Priore osserva la scena e si porta via Mardocheo: Lea è sola, senza il figlio ed il marito: prega la Vergine Maria chiedendo la salvezza della sua anima. Il 20 maggio 1718 entra nella Casa dei Catecumeni: viene battezzata il 12 dicembre con il nome di Alvisa Lucia Aleotti (il nome deriva dal fatto che Alvisa Campalti, sua suscipiente ma anche perchè il giorno successivo al Battesimo si festeggiava Santa Lucia ed infine dal cognome della madrina, Cecilia Aleotti). Verso il 9 aprile 1719, domenica di Pasqua, lascia Mardocheo ai Catecumeni: raggiunge il marito e con lui parte alla volta di Ferrara, Bologna, Firenze, Pisa e Livorno. Ma la grande avventura è l'arrivo a Messina durante l'assedio delle truppe imperiali del Sacro Romano Impero.
In un accampamento militare partorisce una bambina: il marito torna a maltrattarla e la bannadona per andare a Smirne. In questo frangente Alvisa prende un vascello veneziano con l'aiuto di un gesuita e ritorna nella Serenissima. Alvisa e la figlia vengono ospitate nelle case di vari convertiti: la donna va anche a lavorare presso alcuni nobili che la molestano. Siamo attorno al 1727: non abbiamo nessuna notizia del marito e dei figli: Alvisa abita in una casa nella contrada di San Giacomo dell'Orio ed inizia a confidare i propri timori e i propri segreti sugli incontri con angeli e diavoli al sacerdote della chiesa in cui lei si reca a pregare, Giovanni Maria Fattori, parroco di San Giacomo. Il sacerdote è inquietato dalla figura di Alvisa e dalle sue visioni: un inquisitore veneziano, il domenicano Tommaso Gennari obbliga il Fattori a scrivere una relazione su Alvisa. Forse indispettita da tale fatto Alvisa non si rivolge più al parroco della sua chiesa e dal 1734 il loro rapporto di amicizia si interrompe. La sua figura pare quasi intoccabile: Alvisa non vuole sottoporsi all'esame della sua anima, è certa di essere una donna santa: di ciò è convinta anche donna Bernardina Manzini, sua devota, che va a vivere con lei, non più a San Giacomo ma a San Pantalon: la Manzini e la Zambelli conducono anche una campagna di diffamazione ai danni del Fattori che muore nel 1763. Suo nuovo direttore spirituale è padre Chelini della chiesa dei Frari: la descrivono come una nuova Caterina da Siena nell'ultimo documento che abbiamo su di datato 8 agosto 1735: ha ricevuto le stimmate, continua ad avere visioni.
Ma il giudizio del Fattori ancora riecheggia tra i documenti del Sant'Uffizio: ancora si ripete il dubbio: santa o peccatrice? Verità o mistificazione per ricevere elemosine da monache e nobildonne? Ancora una volta la storia non si esprime.

giovedì 23 febbraio 2012

LA FAUTRICE DELLE GLORIE DI VENEZIA

Caterina Visconti
Grandi donne dimenticate dalla storia: se ne contano tante. Una però balza subito agli occhi degli amanti di Venezia. E' la grandissima, monumentale figura di Caterina Visconti, milanese. Lei Venezia non l'ha mai vista ma è stata la fautrice delle sue glorie. Ha permesso la creazione dei Domini di Terraferma, la formazione di un nuovo stato.
Caterina Visconti, nata a Milano, nel 1362, dal duca Bernabò e dalla duchessa Beatrice Regina della Scala. Si sposa con Gian Galeazzo Visconti, suo cugino: Caterina vive una vita infelice: pupazzo nelle mani del marito assiste alla prigionia del padre e al colpo di stato del marito che diviene duca di Milano. Ha due figli (tra cui Filippo Maria Visconti, la cui figlia Bianca Maria sarà sposa di Francesco Sforza e gli porterà la corona di Duca di Milano) e deve patire continue sofferenze.
Caterina vede morire nel 1402 il marito: contatta quale reggente il conte Barbavera ed assume il ruolo di duchessa di Milano. Allora contatterà Venezia, tramite ambasciate, alleandosi con il doge Michele Steno.
D'accordo con lui fa scoppiare la Guerra di Padova: Venezia è contro i Carraresi, dominatori patavini e contro ai Fiorentini e ai Ferraresi, insidiosi vicini. A sostenere la Serenissima e Milano accorrono i Gonzaga di Mantova.
La guerra è vinta, Venezia trionfa, gli Scaligeri sono imprigionati nelle carceri di Palazzo Ducale. Caterina, allora, donerà a Venezia le città di Vicenza, Belluno, Bassano, Feltre.
Una grande donna, insomma, Caterina: coraggiosa e generosa anche a costo della vita. Accusata dai figli illegittimi del marito di cospirare e di avere esagerate simpatie per Venezia fu arrestata dal figlio Filippo Maria, sobillato dai fratellastri e rinchiusa nel Castello di Monza.
Su di lei cadde l'oblio. Morì di peste nell'ottobre del 1404: la guerra era ancora in corso: solo dopo la sua morte Venezia otterrà Verona e Padova.
Certamente anche Caterina meriterebbe di essere ritenuta un'amica di Venezia: non aveva alcuna opportunità politica di fare tali donazioni: ma forse aveva intuito che sotto il giogo di Milano e del Biscione i Bellunesi e i Vicentini non potevano vivere: ci voleva la Serenissima.

sabato 18 febbraio 2012

ALLA CORTE DEL DOGE - L'entourage del Serenissimo Principe

Cavalier del Doge
Sono in pochi a saperlo ma il Doge, Serenissimo Principe di Venezia manteneva nel Palazzo Ducale a proprie spese anche alcuni cortigiani e gentildonne di palazzo. Ricordiamo che per "cortigiane" si intendono oggi due significati:
  • Le gentildonne di palazzo e cioè nubili ma soprattutto mogli parenti oppure amiche di un signore che vivevano nel suo palazzo
  • Le concubine di lusso del potente
Storicamente si è deciso di chiamare le prime "gentildonne di palazzo" e le seconde, appunto "cortigiane".
Scudieri del Doge
A Palazzo Ducale non mancò nessuna delle due categorie: le prime per imitazione delle principali monarchie europee le seconde per i nobili amici e parenti del doge che erano solitamente ammessi negli appartamenti privati del Serenissimo.
Non si trattava in realtà di un gruppo molto esteso: c'era qualche decina di persone. A capitanare tutti era posto il Cavalier del Doge, il quale doveva servirlo e seguirlo in ogni manifestazione pubblica. A sua volta aveva dei sottoposti, gli Scudieri del Doge. Si occupavano di funzioni di etichetta e di anticamera.
Passando invece alla figura della Dogaressa dobbiamo tener presente che se il marito aveva funzioni religioso - civili ella, invece, aveva un ruolo culturale.
La Dogaressa di Venezia
Si occupava di tenere "salotti di conversazione" in cui parlare con artisti e poeti: naturalmente il ruolo di moderatrice era di grande importanza: attraverso la sua mediazione l'élite culturale veneta poteva più facilmente discutere con le istituzioni per le commesse delle opere pubbliche: per questo la Dogaressa divenne occasionale dispensatrice di raccomandazioni e consigli. Insomma, se il primo servo della Repubblica era il doge, la sua Serenissima Consorte era la prima serva della cultura: era importante, infatti che l'educazione di una nobildonna la preparasse anche all'arte e alla poesia: una troppo timida o rozza principessa di Venezia avrebbe fatto saltare la connessione tra la cultura e la Repubblica: un danno imperdonabile!
Ma come doveva essere vivere a stretto contatto con il doge? Sicuramente non entusiasmante come nelle grandi corti europee: leggi severissime vietavano al Doge di parlare del proprio ufficio pubblico nei suoi appartamenti privati: spioni al soldo del Consiglio dei Dieci e degli Inquisitori di Stato sorvegliavano sul rispetto della norma.
I cortigiani del Doge, inoltre, non potevano elemosinare cariche: il Serenissimo Principe doveva pagare di tasca propria il loro mantenimento. Era quindi naturale che preferisse scegliere i parenti e gli amici più cari: altre leggi impedivano a questa categoria dei conoscenti del Duca di Venezia di entrare in politica. Doveva essere una grande famiglia allargata di stampo patriarcale: una condizione molto simile a quella femminile. Gli uomini non potendo esercitare commerci e dedicarsi alla politica probabilmente non dovevano trovarsi a proprio agio a Palazzo: a divertirsi veramente erano le gentildonne che accompagnavano il Doge a messa, ridevano, scherzavano e soprattutto spettegolavano, in particolare sull'ingombrante presenza delle Cortigiane, con cui dovevano condividere il tetto. Possiamo immaginare i dialoghi di critica tra le moraliste nobili della Dominante e le sprezzanti prostitute di lusso. A sovrintendere a tutte le beghe, a tutte le critiche la Dogaresse: ecco l'ennesima testimonianza dell'importanza delle donne veneziane, vero collante di una società, perchè come scrisse Guy de Maupassant: "Le donne non appartengono a una casta o a una razza: bellezza, grazia e fascino sostituiscono per loro nascita e famiglia. La congenita finezza, l'eleganza istintiva, l'agilità della mente, ecco l'unica gerarchia, che rende le popolane uguali alle più grandi dame".

martedì 7 febbraio 2012

I GRANDI VENEZIOLOGI - Studiosi che hano ricostruito la storia e la cultura Veneziana

Marcantonio Sabellico
A Venezia si dedicarono otto grandi storici che dal '400 all'800 collaborarono alla riscoperta di moltissime tradizioni veneziane.
Cominciamo da Marco Antonio Sabellico, letterato romano il cui vero cognome era Cocci. Nato a Vicovaro attorno al 1435 fu discepolo dell'illustre umanista Pomponio Leto, si trasferì a Venezia dove scrisse in latino opere di fama immortale sulla storia della città. Scrisse una notevole storia universale la Enneades sive Rhapsodia historiarum in 92 volumi! Parlò per la prima volta delle leggi e della politica veneziana nel De Venetis magistratibus. Morì nella città lagunare nel 1506. A proseguire la tradizione del Sabellico ci sarà Francesco Sansovino, romano, figlio del più celebre Jacopo Sansovino. Autore di 97 opere tra cui Venetia città nobilissima et singolare (la prima "guida turistica" della città) scrisse una famosa Cronologia ritenuta fino alla fine del '700 il miglior manuale di storia universale in Italia. Nel 1693 nasce a Venezia Flaminio Corner, da nobile famiglia. Dedicherà la propria vita allo studio della chiesa veneziana, ottenendo prestiogiosi riconoscimenti da Benedetto XIV. Comporrà il suo libro più celebre: Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia. Morì nel 1778 dopo essersi dedicato allo studio della biografia dei principali santi veneziani. Un frate francescano, nato nel 1650, Vincenzo Maria Coronelli pubblicherà la seconda vera guida sulla storia di Venezia: Singolarità di Venezia. Fu tra l'altro autore di numerosi globi e carte geografiche apprezzate per la propria precisione.
Coronelli
Segue Giambattista Gallicciolli, nato nel 1733: interessatissimo alle lingue orientali, fu tra i primi a studiare l'ebraico e il siriaco: nel 1782 divenne insegnante di Lettere Greche. Divenne sacerdote per la parrocchia di San Cassiano, dove lavorò per la diffusione della cultura ecclesiastica: tradusse alcuni scritti dei Padri della Chiesa ma il suo capolavoro è il Delle memorie venete antiche profane ed ecclesiastiche in otto volumi. Morì nel 1806, dopo essere stato riconosciuto come il più grande studioso dell'ebraico in Italia della seconda metà del secolo diociottesimo. Ma noi oggi come conosciamo il dialetto veneto? Grazie a Giuseppe Boerio, nato a Lendinara nel 1754. Laureato in diritto, fece parte della burocrazia della Repubblica Veneta. Esordì nell'editoria scrivendo un libro sulle strutture amministrative a Verona. Dedicò uno studio giuridico del 1791 alla Podestaria di Chioggia, durante il Regno Lombardo - Veneto cooperò con il Tribunale di Venezia. Un giovanissimo Daniele Manin gli pubblicò il Dizionario del dialetto veneziano ancor oggi ritenuto il migliore nel suo campo. Morì nel 1832. Ma la cultura veneziana, si sa, è costituita anche dai suoi edifici: le lapidi della città furono tutte copiate, commentate, tradotte ed interpretate da Emmanuele Cicogna (1789 - 1868) nel suo monumentale libro Delle inscrizioni veneziane. Nell'800 tutti questi studi giungeranno nelle mani di Giuseppe Tassini, giurista e letterato veneziano nato nel 1827 che raggruppò tutto in un libro le Curiosità veneziane. In questa simpatica ed interessante opera censì tutte le calli ed i campielli di Venezia, spiegando l'origine del loro nome ed approfittando di questa spigazione per fare importanti considerazioni sulla cultura e sulla civiltà veneziana. Trattiamo infine dell'unica studiosa donna, Giustina Renier Michiel, nata nel 1755. La sua opera principalle fu L' origine delle feste veneziane in cui ogni festa diventava occasione per trattare del motivo della loro istituzione e cioè di particolari eventi storici. Morì nel 1832 e fu un grandissimo dolore per le patrizie venete che così si lamentavano: "E' morta l'ultima gentildonna veneziana!".

lunedì 6 febbraio 2012

DISPUTE LINGUISTICHE NEL '500 - Pietro Bembo e la nascita dell'italiano

La lingua che oggi usiamo in Italia, come tutti sanno, discende dal Latino e si tratta di un dialetto toscano, tipico della zona fiorentina, tratto dalle opere del Petrarca e del Boccaccio, su modello di alcuni termini lessicali usati da Dante: già il Sommo Poeta aveva nel De vulgari eloquentia (Sul modo di parlare del popolo) trattato l'importanza di una lingua volgare per il popolo d'Italia. La città di Venezia si era fermamente opposta all'utilizzo di una lingua che riteneva straniera. Ad aggravare la situazione erano i letterati tradizionalisti che volevano ripristinare il Latino e gli autori milanesi che scrivevano nella cosiddetta Koinè Lombarda.
Pietro Bembo
Nel '500 il dibattito andò aggravandosi: la Repubblica Veneta, centro principale dell'editoria italiana, imponeva agli altri stati di comprare libri stampati nel suo territorio, la maggior parte di essi in latino.
Solo Pietro Bembo, cardinale veneziano, che da bambino aveva vissuto con il padre a Firenze risolse la difficile disputa oggi chiamata "Questione della Lingua".
Bembo aveva studiato con Costantino Lascaris, celeberrimo grecista e si era affezzionato alla lingua di Platone ed Aristotele ed in alcuni suoi scritti aveva anche criticato l'origine popolare del dialetto della città natia.
Tra il 1506 e il 1512 scrive Le prose della volgar lingua in cui propone la prima grammatica dell'Italiano.
Il fatto che un veneziano accettasse la lingua fiorentina divenne un simbolo per tutta l'élite culturale della Penisola: così, da allora, l'italiano divenne una lingua e il veneziano fu ridotto a semplice idioma.
Nel '700 Goldoni tentò, con le proprie opere, di riportare al precedente livello di prestigio del suo dialetto.
Alessandro Manzoni produrrà nel '800 I promessi sposi: di fronte a questo romanzo che propose, tra l'altro, con il suo lessico, un modello di italiano da usare nelle opere letterarie, Venezia dovette arrendersi: ormai la sua indipendenza era finita e così, il suo idioma divenne dialetto, status in cui ancor oggi è relegato, schiacciato dalla superiorità di autori come Petrarca, Boccaccio, Manzoni, Dante, Macchiavelli, con cui Goldoni e Giorgio Baffo non possono purtroppo competere.

sabato 4 febbraio 2012

LA TERIACA - La mitica medicina prodotta dagli speziali veneziani

In Greco Antico il termine phàrmakon indicava sia la medicina che il veleno: è il grande potere della medicina: guarisce se operata con saggezza, uccide se la si pratica con ignoranza. Nei secoli del Medioevo Venezia fu una grande importatrice di spezie e i suoi farmacisti preparavano la teriaca (la cui ricetta fu trascritta da Andromaco, archiatra greco d'origine cretese ai servizi di Nerone), un medicinale che si diceva essere la panacea di tutti i mali. Essa conteneva tra i suoi vari ingredienti:
Un'operetta del sec. XVII sulle proprietà della teriaca
  • Carne di vipera
  • Angelica
  • Genziana
  • Mirra
  • Incenso
  • Timo
  • Tarassaco
  • Oppio
  • Potentilla
  • Miele dell'Attica
  • Liquirizia
  • Anice
  • Valeriana
  • Vin di Spagna
Questo medicinale era anche abbastanza costoso: inutile parlare della sua impotenza di fronte alle malattie più gravi: solamente nel secolo XVIII la preparazione di questo farmaco fu abbandonato: oggi a causa della complessità della sua composizione e alla sua proverbiale taumatrugia è ancor oggi rimasta nella tradizione popolare come rimedio per ogni male. Forse non guarì molti malati ma sicuramente portò numerosi soldi nele tasche degli speziali: basti pensare che il suo commercio, nel secolo XVI era aumentato a causa di diversi trattatelli "scientifici" di medici e dottori su questo portentoso medicinale.

VENICE ON ICE - Quando gela la laguna

3 febbraio 2012: la laguna ghiacciata
In questi giorni si sta molto parlando dell'ondata di freddo in Italia ed in Europa: anche quest'anno si effettuata la gelata della laguna!
Un caso abbastanza raro, accaduto diverse volte: nel 1431, 1490, 1514 e 1545 ma il vero secolo di ghiaccio è stato il Settecento: il gennaio 1709 è il caso più famoso ma anche nel febbraio 1755 il fenomeno si ripete... Nel febbraio 1787 invece, la popolazione ed i nobili si radunano tra le acque della laguna e fanno feste sul ghiaccio: l'anno successivo l'entusiasmo della gente cala, stanca del gelo e del freddo che impedisce il regolare svolgersi delle attività lavorative.
Gabriel Bella: La gelata della laguna del 1709
Nel 1929 e nel 1956 la laguna gela nuovamente e infine ancor oggi nel 2012. Non dimentichiamoci mai che stiamo parlando di una città di mare ma che è freddissima, spazzata dalla bora, sommersa dall'acqua alta e in cui la temperatura scende fino a 0° C causando copiose precipitazioni nevose... Ma questa è un'altra storia... La storia della neve a Venezia.

venerdì 3 febbraio 2012

LA FESTA DELLE MARIE A VENEZIA - Nel giorno della Candelora un'antichissima tradizione veneziana

La Purificazione di Maria (L. Lotti)
Nel Medioevo si diffondeva nel mondo cristiano (anche se tale fenomeno è attestato fin dal IV secolo a Roma) la devozione Mariana ed in particolare, si vedeva come festa - simbolo della Santità della Vergine la sua Purificazione, il 2 febbraio. Una consuetudine ebraica prescriveva che nel giorno della presentazione del figlio al tempio la madre chiedesse perdono a Dio: infatti il concepire un figlio presupponeva un peccato, una violazione alla verginità e bisognava purificarsi. Il modello di castità di Maria fu di riferimento per ogni madre e sposa Cattolica di ogni secolo: così per ricordare la grande virtù della Madonna nacque l'abitudine in tante città italiane di celebrare il 2 di febbraio tutti i matrimoni dell'anno.
Ma come ogni tradizione che si rispetti, c'è un motivo alla sua sacralità: ed eccolo qui: una leggenda... E' il 943, il doge Pietro Candiano dogava su Venezia quando dodici spose, pronte ad andare a San Nicolò al Lido in un corteo di barche per incontrare gli sposi. Durante il tragitto alcuni pirati triestini interrompono il regolare svolgersi della processione in mare, sbaragliano nocchieri e rematori e rapiscono le dodici fanciulle. Gli arrabbiatissimi veneziani ottengono dai Casseleri (fabbricanti di cassette in cui le spose avevano riposto la dote) un valido aiuto: armatisi velocemente remano fino a Caorle, si scontrano con i pirati, trionfano e tornano in patria con le dodici spose. In ricordo di ciò il doge istituirà una caritatevole tradizione...
Ogni anno il Doge si premuniva di scegliere dodici ragazze belle e povere, chiamare dodici famiglie patrizie chiedendo a ciascuna una somma di denaro e far preparare belle vesti e doti per le ragazze.
La chiesa di Santa Maria Formosa
Il 2 febbraio le Marie, radunate nella chiesa di San Pietro di Castello, venivano benedette dal vescovo, in barca raggiungevano il Doge nella Basilica di San Marco, assistevano a un'altra messa e percorrendo calli e campielli giungevano a Santa Maria Formosa per l'ultima messa.
Pietro Orseolo, doge ricchissimo, lascia un terzo del suo patrimonio affinchè si finanzino le Dodici Marie: ma sono troppi gli eccessi, le spese... Spesso le Marie sono sostituite da statuette lignee (Marie de Tola) in odio al popolo. Poi dal 1389 la festa non viene più celebrata. Muore così una delle più caratteristiche feste della Repubblica nel Medioevo.

sabato 28 gennaio 2012

I PROTESTANTI A VENEZIA - La porta dell'eresia

Supplizio di anabattista in una stampa inglese
Un fiorire di eretici ed apostati: questa la Repubblica di Venezia nel '500. Anabattisti partenopei giunti a Padova per studi universitari, gli anabattisti trentini capitanati da Girolamo Busale e molti altri ancora...
La Serenissima, ricordiamo incaricò sua Serenità, Monsignor il Doge, di nominare i Reverendissimi Canonici del Capitolo della Basilica di San Marco, i quali fungevano da consulenti teologico - ecclesiastici al Senato e provvedevano a stilare liste di sacerdoti e vescovi da nominare. La Chiesa, diveniva quindi, nei Domini Veneti, strumento della politica per legare a sé i cittadini, senza però tutelarne in modo particolare i diritti: l'Inquisizione Veneziana, infatti, avrà vita difficile: il Papa e i principali giuristiriterranno il Sant'Uffizio Marciano un caso disperato: quella di Venezia è restera sempre un'insieme di diocesi, parrocchie, abbazie e monasteri sottoposti alla prestigiosissima istituzione del Patriarcato di Venezia che è e restera sempre Dioces ad nullius e quindi sottoposta ad autorità civili. Ma torniamo a noi: 1550, gli Anabattisti organizzati clandestinamente, si riuniscono a Venezia: la delazione di un prete anconetano passato all'Anabattismo, Don Pietro Manelfi, però, causerà l'intervento del Sant'Uffizio di Roma che invierà nella Serenissima il domenicano Girolamo Muzzarelli: egli, il 18 dicembre 1551, in un colloquio con il Consiglio dei Dieci, convince i politici veneziani a intervenire sulla questione. I politici li respingono e gli Anabattisti raggiungono la Boemia ed hanno salva la vita. Negli anni seguenti vediamo sempre più editori impegnati nella pubblicazione di Bibbie Luterane, testi teologici protestanti eccetera. Al Ponte di San Domenico, in spregio a questi libri ereticali, i Domenicani, rettori del Sant'Uffizio di Venezia, bruciavano annualmente i tomi elencati nel famigerato "Indice dei Libri Proibiti". I Protestanti Veneziani non si organizzeranno mai in grandi comunità ma in piccoli gruppi: il caso di Andrea da Ponte, fratello del doge Niccolò, desta scandalo tra i Veneziani: accusato di eresia fugge da Venezia in un esilio volontario e su di lui cade la damnatio meomoriae. Ma se tra i patrizi  il fenomeno è timido e cauto, per paura di conseguenze politiche, tra i ceti popolari, invece, il fenomeno non esita a mostrarsi. Una simpatica popolana, Franceschina da San Pantalon, sosteneva:
Chiesa Anglicana di Saint George
E' mala cosa andar a messa, perchè Cristo non l'ha ordinata. E' nel Testamento Vecchio che quando se levava el vedelo dorato, tutti acorevano ad adorarlo e se perdevano dietro a quell'idolo. Così noi, quando se leva l'ostia consegrada, corriamo ad adorarla, avendo fede in quelo che vedemo e ce perdemo, per esser un idolo... E se deve pregar Dio perchè lui al è al principal... E bisogna adorar Cristo in verità, non in quel pezo de pasta...  E lui è il nostro purgatorio, e quando morimo andemo in paradiso o al'inferno.
 In questo breve discorso la simpatica popolana già negava parecchi dogmi: l'esistenza del Purgatorio, la Transustaniziazione... Ma l'Università Patavina sarà il vero covo di eretici: il futuro vescovo di Capodistria, Pier Paolo Vergerio, sarà Luterano e poi si convertirà entrerà a far parte di "Santa Romana Chiesa". Cittadella, Bassano, Bergamo: altre città covo di Protestanti: ed ecco l'importanza dell'istituzione dei Tre Savi sopra l'Eresia. La Repubblica svolgerà un azione repressiva: espellerà i colpevoli di Protestantesimo, li farà punire (ma mai con la pena capitale) con multe o prigionia e costringerà i sacerdoti  a rammentare nelle omelie le verità di fede della Chiesa Cattolica. Ed ecco così che la popolazione dimentica quella vecchia moda del Protestantesimo ed ritorna alle antiche tradizioni Cattoliche. Alla fine del '500 la Riforma Protestante può dirsi fallita nei territori della Serenissima: arriva il '600, il secolo del Barocco in cui la teatralità e l'esagerazione delle gerarchie ecclesiastiche tradizionali ha trionfato su una Chiesa semplice, umile pellegrina sulla Terra: solamente più tardi, nell'800 si costituirà la chiesa Anglicana di Saint George, in cui tornano dopo trecento anni i Protestanti.

IL NUOVO VICARIO DI SAN MARCO - Francesco Moraglia nuovo patriarca

Sua Eminenza Francesco Moraglia
Sua Eminenza, Francesco Moraglia, Vescovo della Spezia - Sarzana - Brugnato, Canonico del Capitolo della Cattedrale di San Lorenzo di Genova e Consultore della Congregazione per il Clero. Un genovese a Venezia: certamente a molti non dirà niente ma ad alcuni farà un po' sorridere: come dimenticare la storica rivalità tra Veneziani e Genovesi... Ma quanti sono stati i Patriarchi non veneziani o non veneti?
Il primo patriarca dell'800, il partenopeo Gamboni (rimasto pochi mesi), Pyrker, proveniente dal villaggio ungherese di Soponya, il viterbese la Fontaine, il cremasco Cé ed il milanese Scola.
Il clero veneto aveva espresso il proprio desiderio di veder nominato Patiarca un veneto ma le suppliche dei sacerdoti delle diocesi suffragenee di Venezia a nulla sono servite.
Ma siamo sicuri che questa sfida che vedrà un genovese a Venezia sarà un nuovo modo di dimostrare come, in fondo, qualsiasi rivalità possa essere superata da legami comuni: anche la religione. Per quanti siano interessati il 25 marzo, nel giorno dell'Annunciazione, patrona principale di Venezia, si insedierà il nuovo Patriarca. Benvenuto Eminenza!

venerdì 20 gennaio 2012

DEVOZIONE RELIGIOSA O ROMANTICISMO D'ALTRI TEMPI? - Curiosa ambiguità di un'iscrizione a Rialto

La poetessa Gaspara Stampa
"Voi ch'ascoltate in queste meste rime,
in questi mesti, in questi oscuri accenti
il suon degli amorosi miei lamenti
e de le pene mie tra l'altre prime,
ove fia chi valor apprezzi e stime,
gloria, non che perdon, de' miei lamenti
spero trovar fra le ben nate genti,
poi che la lor cagion è sì sublime."
Così poetava Gaspara Stampa, poetessa padovana del Seicento, nella Poesia I del capitolo dedicato all'Amore della sua più celebre opera: "Le rime".
Una poesia in cui si augura fama per i suoi versi, comprensione e gloria per ciò che scrive: buon auspicio che probabilmente anche l'autore di questi meno nobili ma comunque suggestivi versi avrebbe voluto sentirsi dire:
"SU LE LABRA E NEL COR
SEMPRE MI SIA
IN VITA E IN MORTE
IL NOME TUO MARIA".
L'incisione in questione a Palazzo dei Camerlenghi
Ma c'è chi avanza dubbi? Siamo sicuri che questa bella e semplice iscrizione a lato del Palazzo dei Camerlenghi sia proprio dedicata all'amore? Oppure è un sentimento più religioso, un'augurio a una Maria non terrena, ma alla Madre di Dio?
I versi di Gaspara Stampa sarebbero un meraviglioso commento a questa cuirosa iscrizione: non solo nel caso di un amore terreno ma anche di uno mistico, che va al di là di quanto si possa spesso capire, comprendere...

LA NUOVA VERSIONE PER TELEFONO CELLULARE - Il blog si aggiorna

Dalle 19:15 di oggi, venerdì 20 gennaio 2012 è disponibile la nuova versione per telefonia mobile del nostro blog. Un grazie speciale ai visitatori di questo ultimo periodo e al blog http://sp1938.blogspot.com/ per la "pubblicità" offerta: siamo oltre le 1000 visite!
GRAZIE A TUTTI!

MATTEO DA BASCIO - Un santo o un comune peccatore?

Matteo da Bascio, fondatore dei Frati Minori Cappuccini
Odiato dalla Chiesa e dallo stato ma amato dal popolo: nemico delle istituzioni e dell'ordine costituito, riformatore, mai ufficialmente riconosciuto eppure sostenuto dalla massa ma anche fondatore dei Cappuccini, eremita, predicatore e ricercato dai tribunali veneziani: tutti indizi che ci rivelano una personalità controversa, quella di Matteo da Bascio, nato nella riminense cittadina di Pennabili attorno al 1495. Va nella zona del Pesarese, entra tra i Frati Minori del Primo Ordine (cioè i discendenti diretti di San Francesco che hanno accolto la sua regola) ma va a vivere a Montefalcone, oggi in provincia di Fermo: fa l'eremita, il predicatore, vive in povertà. Molti francescani lo seguono, vanno con lui a pregare nell'eremo: i superiori si lamentano perchè non vi è un'autorizzazione specifica della Chiesa a questa nuova spiritualità.
Matteo Serafini, per tutti da Bascio (dal nome della frazione di Pennabili in cui nasce), sostiene con fermezza che le idee di povertà di San Francesco siano state distorte da un'altra famiglia di frati, i Francescani Convenutali, più disposti anche ad accettare una ricerca della ricchezza terrena... Inoltre i diretti discendenti del grande Assisate (e cioè i Frati Minori tradizionalisti) sarebbero stati corrotti e distolti dall'originario obiettivo.
Nelle sue prediche il fraticello diffonde le sue idee: è il 1520. Sul trono di Pietro sedeva Papa Leone X, al secolo Giovanni de' Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, fermamente convinto che l'autorità papale doveva essere rispettata da tutti e che ogni Cristiano dovesse obbedire senza fiatare al volere del Vicario di Cristo.
I Francescani tradizionalisti accusano Matteo da Bascio di voler rievocare il terribile scontro nei secoli XII e XIII tra Conventuali e Spirituali: i primi (dal quale discende l'ordine che il frate riteneva "degenerato") erano nati in contrapposizione ai secondi che avevano un'idea di povertà estrema, tale da essere vista con preoccupazione anche da San Francesco: è ancora vivo quando assiste allo "scisma Francescano" che rischia di dilaniare e distruggere l'ordine. La Chiesa perseguita Matteo da Bascio che deve fuggire a Venezia. Ma anche qui il frate è irriducibile: compie il miracolo del Ponte dell'Angelo (su cui inquisirà anche il Sant'Uffizio di Venezia), compie profezie, vola a mezz'aria, resuscita operai caduti dalle impalcature. E' pseudosantità per gli Inquisitori Veneziani: a complicare ulteriormente la situazione è una curiosa uscita del frate...
Un giorno entra in un'aula di tribunale a Palazzo Ducale, durante un processo con una lanterna: il giudice gli domanda: "Padre che fate con quel lume?" e quello risponde: "Cerco la giustizia che sempre manca in questi processi!". E' oltraggio alla corte: viene esiliato da Venezia.
Quando finalmente è riammesso, in odor di santità (secondo il popolo) muore nella chiesa di San Moisé e viene seppellito a San Francesco della Vigna.
Chiesa di San Francesco della Vigna
Oggi i Cappuccini (così si chiamano oggi i Frati che hanno accolto il suo messaggio) sono una delle famiglie religiose più diffuse: è al quarto posto. Ma c'è un piccolo particolare che ci può far meglio capire come questo santo non sia stato mai amato dal Clero: la prima famiglia per diffusione, quella Gesuita ha un santo come fondatore (Ignazio di Loyola), anche i Salesiani, seconda famiglia (Giovanni Bosco) e anche la terza, i Frati Minori (Francesco d'Assisi). Eppure pare proprio che quella personalità di "pseudosanto" di Matteo da Bascio, non vada ancora giù a Santa Romana Chiesa: probabilmente, come tante volte è accaduto, le pressioni che la Repubblica Veneta avrebbe potuto aver fatto per impedire l'apertura di un processo di beatificazion e poi canonizzazione avrebbero ulteriormente fatto calare l'oblio su questo particolare personaggio e nessuno si è più ricordato di lui e della sua esistenza... Ancora una volta sacro e profano si mescolano in un unico personaggio e ancora una volta non riusciamo a distinguere: un uomo da innalzare agli onori degli altari o uno pseudosanto? Forse un domani sapremo rispondere...