giovedì 23 febbraio 2012

LA FAUTRICE DELLE GLORIE DI VENEZIA

Caterina Visconti
Grandi donne dimenticate dalla storia: se ne contano tante. Una però balza subito agli occhi degli amanti di Venezia. E' la grandissima, monumentale figura di Caterina Visconti, milanese. Lei Venezia non l'ha mai vista ma è stata la fautrice delle sue glorie. Ha permesso la creazione dei Domini di Terraferma, la formazione di un nuovo stato.
Caterina Visconti, nata a Milano, nel 1362, dal duca Bernabò e dalla duchessa Beatrice Regina della Scala. Si sposa con Gian Galeazzo Visconti, suo cugino: Caterina vive una vita infelice: pupazzo nelle mani del marito assiste alla prigionia del padre e al colpo di stato del marito che diviene duca di Milano. Ha due figli (tra cui Filippo Maria Visconti, la cui figlia Bianca Maria sarà sposa di Francesco Sforza e gli porterà la corona di Duca di Milano) e deve patire continue sofferenze.
Caterina vede morire nel 1402 il marito: contatta quale reggente il conte Barbavera ed assume il ruolo di duchessa di Milano. Allora contatterà Venezia, tramite ambasciate, alleandosi con il doge Michele Steno.
D'accordo con lui fa scoppiare la Guerra di Padova: Venezia è contro i Carraresi, dominatori patavini e contro ai Fiorentini e ai Ferraresi, insidiosi vicini. A sostenere la Serenissima e Milano accorrono i Gonzaga di Mantova.
La guerra è vinta, Venezia trionfa, gli Scaligeri sono imprigionati nelle carceri di Palazzo Ducale. Caterina, allora, donerà a Venezia le città di Vicenza, Belluno, Bassano, Feltre.
Una grande donna, insomma, Caterina: coraggiosa e generosa anche a costo della vita. Accusata dai figli illegittimi del marito di cospirare e di avere esagerate simpatie per Venezia fu arrestata dal figlio Filippo Maria, sobillato dai fratellastri e rinchiusa nel Castello di Monza.
Su di lei cadde l'oblio. Morì di peste nell'ottobre del 1404: la guerra era ancora in corso: solo dopo la sua morte Venezia otterrà Verona e Padova.
Certamente anche Caterina meriterebbe di essere ritenuta un'amica di Venezia: non aveva alcuna opportunità politica di fare tali donazioni: ma forse aveva intuito che sotto il giogo di Milano e del Biscione i Bellunesi e i Vicentini non potevano vivere: ci voleva la Serenissima.

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